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Attualità martedì 24 marzo 2020 ore 17:58

Terapia intensiva all'Elba, "perché non si può?"

Ospedale di Portoferraio

Un cittadino elbano scrive una lettera aperta al direttore della Zona Distretto Elba Chetoni per chiedere chiarimenti sulla questione



PORTOFERRAIO — In piena emergenza coronavirus e dopo che sono risultati tre casi positivi all'isola d'Elba, dopo la richiesta dei giorni scorsi del vicesindaco di Capoliveri, Ruggero Barbetti (leggi qui l'articolo) e dopo l'intervento dello Spi-Cgil (leggi qui l'articolo), oggi interviene un cittadino elbano con una lettera aperta indirizzata al dottor Fabio Chetoni, direttore responsabile Asl della Zona Distretto Elba.

Ricordiamo che nei giorni scorsi erano state definite da parte dell'Asl le procedure dell'emergenza Covid-19 all'Elba e che sia l'Asl che il presidente della conferenza sulla sanità Zini ha informato che è stato allestito un reparto isolato di 10 posti nell'ospedale elbano per prendere in carico i pazienti affetti dal virus che necessitano di essere ricoverati ad un primo livello (vedi gli articoli correlati).

Nelle lettera viene chiesto perché all'isola d'Elba non sia possibile attivare un Reparto di terapia intensiva.

Qui di seguito il testo integrale della lettera aperta.

"Egregio Dott. Chetoni, mi chiamo Alessandro Pugi, sono una delle migliaia di persone residenti all’Isola d’Elba e le scrivo questo accorato appello, cercando di farmi portavoce di tutti quei cittadini che in questo momento sentono il pericolo talmente vicino, da percepirne l’invisibile mano sfiorargli la pelle.

Nella percezione umana, quando si sente arrivare un pericolo, di norma, si tende a proteggersi da quel disagio con ogni mezzo e a cercare di prevenirne le conseguenze. In questo caso il pericolo si chiama Covid 19 e il disagio è dovuto alla consapevolezza che il vivere su quest’Isola sia una colpa da espiare. Già. Una colpa. Mi permetto di dirle questa cosa, perché da sempre, noi isolani, ci sentiamo o veniamo visti come dei 'diversi'; persone che non godono degli stessi diritti. Vuole qualche esempio? 

Spostarsi sulla terraferma ha un costo piuttosto elevato, il prezzo delle merci risente di una chiusura economica ermetica, oserei dire 'turistica tutto l’anno', senza differenze di oscillazione dei prezzi tra il periodo estivo e quello invernale, l’economia flette a seconda delle stagioni, senza dare una garanzia alle famiglie che operano in questo settore e a tutto l’indotto che ne consegue.

Potrei dilungarmi per altre dieci righe, ma non sono qui a illustrarle la nostra realtà, perché credo che lei la conosca piuttosto bene. 

Tengo a precisare che questo non vuol dire fare del vittimismo, ma semplicemente constatare la realtà dei fatti. Eppure teniamo duro, sappiamo sempre risollevarci dalle situazioni difficili, ci rimbocchiamo le maniche gettandoci sui problemi a testa bassa, cerchiamo di sbarcare la giornata nel miglior modo possibile per dare ai nostri figli un futuro migliore. 

Ma adesso, questo futuro è minacciato da qualcosa che noi, da soli, non possiamo combattere, per questo abbiamo bisogno del vostro aiuto. Sappiamo di poter contare sui nostri eroi quotidiani, medici, infermieri, volontari, che essendo esseri umani, possono commettere errori, a volte sbagliare diagnosi, ma sono in prima linea in questa lotta e noi ne andiamo fieri. Ma è da voi, da chi ha il potere di cambiare le cose che ci attendiamo delle risposte, e soprattutto dei fatti.

Vorremmo che lei ci spiegasse perché non è possibile istituire un’unità di terapia intensiva presso il nostro nosocomio. Vorremmo che qualcuno ci convincesse che le nostre vite sono diverse da quelle di chi vive sulla terraferma, attraverso fatti concreti e non solo parole mascherate da disinganni politici. 

Mancano i soldi per le attrezzature? Siamo stati pronti a donare e possiamo continuare a farlo per dare il nostro piccolo contributo. Mancano le strutture? Non credo, poiché avete trovato spazi che pensavate di non avere. Mancano i medici e gli infermieri e gli anestesisti? Bè, è qui che dovete intervenire voi. Noi non possiamo andare oltre. La nostra forza s’infrange contro il muro della burocrazia, troppo solido da scalfire; contro il silenzio dell’immobilismo che sembra attanagliare questa realtà insulare; contro il vento della politica che secondo il colore predominante può decidere sulle sorti di un intero popolo.

Dott. Chetoni, la prego di accogliere questo appello, non solo come una richiesta di aiuto, ma come l’urlo accorato di decine di cittadini che rivendicano un loro diritto, quello sancito dall’art. 32 della nostra Costituzione.

Ringraziandola per la sua attenzione, restiamo in attesa di un suo cortese riscontro".

Alessandro Pugi 


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